L’opinione dell’esperto: il ruolo di T-DM1 nelle metastasi cerebrali da tumore mammario HER2-positivo

 

ALESSANDRA FABI
Oncologia Medica 1, Istituto Nazionale Tumori “Regina Elena” (IFO), Roma

 

Riassunto: Le metastasi cerebrali rappresentano una sfida clinica significativa per il trattamento di pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo. L’attuale standard di cura per le metastasi cerebrali da cancro al seno comporta la resezione chirurgica di lesioni solitarie e la radioterapia stereotassica con le tecniche più innovative in pazienti con metastasi cerebrali fino a un numero totale di 4. Questo porta ad una sopravvivenza mediana fino a un anno in pazienti con buon performance status e controllo della malattia extracerebrale.
     Sebbene l’incidenza delle metastasi del sistema
nervoso centrale alla diagnosi di malattia avanzata in pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo sia circa dell’11%, le metastasi cerebrali interessano fino al 50% delle pazienti con malattia avanzata. Tra i pazienti trattati con trastuzumab adiuvante nello studio HERA, l’encefalo costituiva una sede con maggiore evidenza di diffusione come prima ricaduta di malattia rispetto al controllo, possibile espressione di una ridotta attività dell’anticorpo a livello encefalico.
     Purtroppo la mancata inclusione di pazienti con interessamento cerebrale nella gran parte degli studi clinici, limita notevolmente il preciso impatto che i trattamenti anti-HER2 determinano su tale sede di malattia.
     Tra le molecole anti-HER2, T-DM1 ha dimostrato un buon controllo di malattia nel sistema nervoso centrale, in assenza di tossicità che coinvolgano la qualità di vita, aspetto molto importante in pazienti già affette da metastasi cerebrali, a volte con una sintomatologia neurologica già all’esordio della diagnosi di metastasi cerebrali.
     Nello studio EMILIA una sottopopolazione di pazienti presentava metastasi cerebrali al basale; pur essendo un campione limitato, l’anticorpo-farmaco coniugato anti-HER2 ha dimostrato, rispetto al braccio di confronto lapatinib e capecitabina, una simile efficacia in termine di progressione libera da malattia, ma una sopravvivenza globale più che raddoppiata. A conferma di ciò, i risultati delle esperienze di pratica clinica supportano l’evidenza di una interessante attività di T-DM1 che andrebbe ulteriormente indagata in studi prospettici e con casistiche più ampie. Nello specifico, in questa raccolta di casi clinici non solo si dimostra l’importanza di seguire in fase avanzata un algoritmo terapeutico con doppio blocco pertuzumab e trastuzumab seguito a progressione da T-DM1, ma anche, l’evidenza di non sospendere il trattamento anti-HER2 in presenza di progressione cerebrale, in caso persista il controllo della malattia extracerebrale.

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